Con l’HOLY EROS, c’è in qualche modo un mio ritorno alle origini del viaggio nel digitale iniziato nel 1990.
Viaggio che ancora oggi continua, a dispetto di tanti scettici che allora mi sconsigliavano di perdere tempo con “quell’affare”
(ndr. ”l’affare” in questione era il computer), a cui non davano un futuro, almeno non creativo.
Ma io fortunatamente mi sono fidato del mio istinto.
Venivo allora da una lunga esperienza come performer nei vari campi dell’arte e da collaborazioni con altri artisti in diverse
discipline. Avevo coltivato comunque in quegli anni l’interesse per la fotografia, nato sui banchi di scuola media, e per il disegno,
passione nata nell’infanzia e sviluppata con gli studi artistici. Ma in ambedue mi sentivo artisticamente insoddisfatto e limitato:
per me allora fare arte era la perfomance. Nei primi anni ‘90 la svolta: l’incontro con il computer.
Questo segna una tappa fondamentale nella mia vita di artista.
In esso ho ritrovavo la “scatola scenica” e un mio nuovo “spazio performativo” su cui potevo intervenire a posteriori
manualmente e graficamente, manipolando la realtà virtuale. Potevo riprodurre e moltiplicare me stesso in molte forme,
lavorando sui gender sessuali, fino ad annullare anche la mia identità reale e senza alterare per questo la realtà vera
di me stesso e delle cose. Quel periodo (Grafico/Digitale) segna il mio ritorno all’arte – diciamo applicata –
e alla creazione del mio primo catalogo, il “Multi Mataro - Teatro Immagine”.
Questo 1° Catalogo di Arte Postale conteneva una novantina di immagini che avevano me come soggetto base.
Erano tutte immagini “lineart” o al “tratto”, cioè dove tutto era rigorosamente bianco o nero (senza grigi insomma)
e suddivise a loro volta in tre grandi gruppi: L’alfabeto e i numeri del corpo, Il fregio della luna e La stanza di Narciso.
Per la prima volta potevo fondere insieme le arti del tempo con quelle dello spazio, almeno concettualmente.
Per anni avevo lavorato nelle mie performances sul concetto greco del “Musikèe”, cioè la fusione di poesia, musica e danza:
le tre arti del tempo.
Ad ognuna di queste poi avevo abbinato (sempre concettualmente) un’arte dello spazio: la poesia con la pittura,
la musica con l’architettura e la danza con la scultura.
Di qui l’attore/pittore che dipinge i personaggi che rappresenta (questo sarà il tema dell’intero percorso
della Pittura Digitale che continua a tutt’oggi), il cantore/architetto capace di creare architetture sonore con la sua voce
(questo chiaramente vale anche per i musicisti strumentisti), ed infine il danzatore/scultore che si muove e riempie lo spazio
secondo la definizione data dai greci antichi della danza: scultura in movimento.
Queste le radici dell’HOLY EROS che ripropone il corpo umano (non più il mio) inteso come pura architettura.
Come nell’Alfabeto (di cui a fianco avete alcune lettere d’esempio), l’idea del corpo/lettera o numero si moltiplica
all’infinito per essere parola e poi linguaggio, nell’HOLY EROS il soggetto diventa anche massa, gruppo e si fa corpo
di ballo ed orchestra.
Attraverso un loro andamento compositivo le opere qui proposte si muovono secondo una partitura immaginaria
e modulare dove la forma umana, trasformata in nota/mattone, compone e costruisce la coreografia di una musica visiva,
o meglio di una struttura danzante, che suona e crea l’oggetto: il soggetto si fa oggetto,
il divino si fa umano e il sacro si fa profano.
Gennaio 2008